Fonte: Enrico Di Giacomo |
MESSINA (GANZIRRI) - Un
boato. Alle 22.15 di sabato scorso a
Ganzirri è stato il terrore. Dai locali, le numerose trattorie dei due borghi
marinari che come ogni sabato sera sono affollate di famiglie, coppiette,
gruppi di amici; i bar, i ritrovi, le piccole e caratteristiche piazze, a
centinaia si sono riversati sulla spiaggia di via Marina.
A soli 20 metri dalle case che si affacciano sul mare s’è arenata l’Hc Rubina, una nave cargo di 126 metri che proveniva da sud, dallo Jonio, e viaggiava verso Massa Carrara. Un’improvvisa avaria l’ha costretta a spiaggiarsi sul litorale nord peloritano tra due file di scogli, come una balena esanime. S’è sfiorato il disastro, è l’opinione comune. La prua della nave, comandata da un ufficiale ucraino, s’è fermata a una ventina di metri dalle abitazioni. «Ero in una pizzeria di Torre Faro», racconta a caldo Giuseppe, 25 anni, «quando ho sentito tremare il pavimento del locale, come si trattasse di una scossa di terremoto. Mi sono affacciato sul lungomare ed ho notato la prua della nave quasi a contatto con le case. Quindi ho avvertito un mio amico, Domenico, e siamo andati a vedere di cosa si trattasse. Una sensazione surreale». Intorno alla nave intanto cominciano ad avvicinarsi i mezzi di soccorso, tra cui un rimorchiatore. «Non ce la farà mai», afferma una bambina di nove anni, Ilaria, con lo sguardo attonito sulla nave incagliata, «a trainare quel bestione». Luca Pecora, 34 anni, proprietario di un piccolo cantiere navale che si occupa di custodia e rimessagio di barche, è testimone oculare di quanto accaduto. E racconta: «Ho visto la nave mentre si avvicinava lentamente a riva». Luca si chiede: «Ma funziona davvero il “Vts” nello Stretto? E lo schema di separazione della navigazione è efficiente come dovrebbe?».
Prova ad abbozzare una spiegazione
tecnica, quantunque non vi siano ancora i benché minimi elementi per farlo,
anche Simone Arena, 31 anni, direttore di macchine sulle petroliere Montanari,
nonché primo ufficiale di Rete ferroviaria italiana nello Stretto: «In base
alla mia esperienza posso dire che le navi nello Stretto devono andare a
velocità ridotta e in ogni caso devono essere comandate manualmente. In questo
caso si potrebbe ipotizzare un’avaria al timone, che ha reso ingovernabile il
cargo. Il comandante, e questo dovrebbe essere un dato certo, non ha calato le
ancore perché a cinquanta metri dalla riva i fondali sono ancora troppo
profondi, mentre avvicinandosi alla costa c’è uno scalino che rende impossibile
gettare le ancore per il motivo opposto, profondità minima».
Tra Torre e
Ganzirri dopo i primi frangenti di paura, si respira via via che arrivano i
soccorsi e si scongiura il rischio di contar vittime tra i membri
dell’equipaggio, pare diciassette, aria di stupore e crescente curiosità. La
gente è affacciata dai balconi, in piedi sui moli o seduta sugli scogli. I più
attoniti sono coloro i quali risiedono nelle case a ridosso della spiaggia, a
pochi metri dalle loro camere svetta la prua della nave: «Abbiamo temuto», dice
una donna di mezza età abbracciata al marito, «che davvero la nave ci entrasse
in casa. Fortuna che quella doppia linea di scogli ha fermato l’imbarcazione».
Le operazioni intanto si fanno febbrili, la bassa marea non aiuta, la notte è
lunga ed è appena all’inizio la ricerca delle cause di ciò che è accaduto. Ma
non c’è angoscia. Arrivano anche in via preventiva i mezzi della Castalia per
le verifiche ambientali. Alessandro Tumino e Riccardo D’Andrea – GDS
Fonte: Enrico Di Giacomo
Edited by, lunedì 19 marzo 2012, ore 15.32.
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